CSC RICERCHE: FORNITURE CRITICHE ITALIANE CONCENTRATE NEI SETTORI COMMODITY-ENERGIA, CHIMICA-FARMACEUTICA, ICT E TESSILE; META’ A RISCHIO GEOPOLITICO
IL 21% DELLE IMPRESE HA SCELTO IL BACKSHORING DELLE FORNITURE. NECESSARIO POTENZIARE LE FILIERE
Roma, 1° agosto 2023 – L’iperglobalizzazione dei primi anni Duemila ha lasciato il posto a una fase di globalizzazione lenta. Tuttavia, la globalizzazione resta profonda e complessa, con dinamiche eterogenee lungo le sue molteplici dimensioni. Le catene globali del valore (GVC) si sono dimostrate molto robuste e persistenti. Le tensioni sino-americane, il conflitto russo-ucraino, la divisione in blocchi dei paesi “like-minded” e un’accelerazione degli interventi protezionistici a livello globale complica lo scenario mondiale. Questa l’analisi contenuta nel volume
TRA NUOVA GLOBALIZZAZIONE E AUTONOMIA STRATEGICA del Centro Studi, consultabile sul sito di Confindustria e che sarà presentato a settembre.
Governare le interdipendenze globali produttive e di conseguenza di fornitura, create negli ultimi trent’anni, si è rivelato, in questo ultimo triennio, più problematico; emerge la necessità di rafforzare le catene di fornitura, specie in produzioni strategiche, come quelle che guidano la transizione green e digitale.
Nell’ultimo decennio circa l’8% delle importazioni europee (dai mercati extra-UE), in valore, risulta critico. In particolare, l’Unione europea è vulnerabile soprattutto nelle filiere dell’ICT (Information and Communications Technology) e, in misura minore, dell’agro-alimentare e del tessile. La Cina è sempre più la fonte principale delle vulnerabilità dell’Unione europea e anche degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda l’economia italiana, le vulnerabilità nelle forniture riguardano il 16% dell’import in valore e il 7% delle varietà di prodotto. Sono percentuali in linea con quelle registrate per la Germania e per la Francia. Le vulnerabilità italiane si concentrano, in valore, nella filiera delle commodity, della chimica e dell’energia.
Restringendo l’analisi alle forniture industriali (di input intermedi e beni di investimento), sono stati selezionati 333 prodotti critici, per i quali l’industria italiana risulta stabilmente vulnerabile negli ultimi anni. Essi rappresentano circa il 9% del valore dell’import italiano (circa 17 miliardi di euro). La filiera industriale italiana maggiormente vulnerabile è quella delle commodity, chimica ed energia, seguita dai trasporti; come varietà di prodotti si aggiungono anche il tessile e i metalli. La Cina è di gran lunga il maggiore fornitore di prodotti critici per l’industria: 25% in valore (principalmente ICT) e 22,5% in varietà (soprattutto nel tessile).
Quasi la metà delle forniture critiche dell’industria italiana si può definire ad alto rischio geopolitico o climatico. Si tratta soprattutto di minerali e prodotti in metallo; tra le filiere, spiccano quelle dei trasporti, del tessile, dell’agroalimentare e, per quanto riguarda il rischio climatico, anche quella dell’ICT, media e computer.
Inoltre, poco meno della metà dei prodotti critici per l’industria italiana si può definire strategica, per oltre 10 miliardi di euro (61% dell’import critico). Si tratta principalmente di minerali, metalli o altre materie prime (coinvolti nella transizione verde) e di prodotti farmaceutici e principi attivi.
Intersecando i criteri di selezione per strategicità e per rischio, otteniamo una lista finale di 62 prodotti fortemente critici per l’industria italiana. Nonostante siano relativamente pochi prodotti, attivano circa 5 miliardi di acquisti italiani dall’estero (ben il 38,5% dell’import critico). Riguardano soprattutto le filiere dell’ICT e dei trasporti.
Diverse le strategie che possono essere attuate. Il rientro di attività produttive nei paesi dell’Unione europea favorirebbe una reindustrializzazione, che però necessita di risorse umane e soprattutto di competenze specifiche che non sempre sono immediatamente disponibili. Il backshoring di produzione potrebbe comportare anche un aumento dei prezzi, laddove l’innovazione tecnologica non abbia reso più competitiva la produzione in house rispetto all’offshoring; appare quindi auspicabile solo nei settori strategici.
I dati raccolti nella survey del Centro Studi Confindustria e Re4It (Reshoring for Italy) sulle strategie di offshoring e reshoring delle imprese manifatturiere nel 2021 confermano un uso limitato delle scelte di backshoring di produzione (totale o parziale). Invece, si rileva un utilizzo del backshoring di fornitura tra le imprese manifatturiere italiane, individuando nella maggiore resilienza, nella riduzione della distanza e nel miglioramento della qualità dei prodotti i principali fattori che influiscono su questa scelta. Circa il 75% del totale dei rispondenti all’indagine CSC&Re4It ha acquistato forniture totalmente o parzialmente da imprese estere e il 21% di queste ha effettuato un backshoring di fornitura negli ultimi cinque anni.
La scelta del backshoring di fornitura è del tutto compatibile con l’offshoring di produzione, poiché rilocalizzare la catena di fornitura non comporta necessariamente spostare eventuali attività produttive all’estero.
Infine, l’accorciamento delle filiere globali potrebbe accompagnare l’adozione di paradigmi alternativi a quello lineare della produzione, come ad esempio l’economia circolare; ciò risulta più attuabile in un contesto nazionale o europeo, con normative comuni e minori costi di transazione.
Leggi il rapporto completo CATENE DI FORNITURA TRA NUOVA GLOBALIZZAZIONE E AUTONOMIA STRATEGICA https://www.confindustria.it/home/centro-studi/prodotti/ricerche/rapporto/scenari+geoeconomici/rapporto-catene-di-fornitura-2023
e la Nota di approfondimento LE DIPENDENZE CRITICHE E STRATEGICHE DELL’INDUSTRIA ITALIANA https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/scenari-geoeconomici/dettaglio/dipendenze-critiche-e-strategiche-industria-italiana
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