Segnaliamo che la Cassazione (Cass., 27 aprile 2023, n. 11136) ha confermato il principio secondo il quale l’assenza per malattia professionale o infortunio sul lavoro è normalmente computabile nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto dall’art. 2110 del codice civile, a meno che non sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 del codice civile.
Tale responsabilità (in termini di esistenza del danno alla salute, nocività dell’ambiente di lavoro e nesso di causalità tra i primi due) deve essere provata dal lavoratore e deve superare l’ulteriore condizione che il datore di lavoro non dimostri di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. Il principio affermato dalla sentenza in commento non costituisce una novità, costituendo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. 24028/2016, 26037/2014, 7037/2011, 5413/2004, 3351/1996). Esso costituisce il portato dell'esigenza di contemperamento degli opposti interessi di rilievo costituzionale - tutela della salute e del diritto alla conservazione del posto di lavoro del lavoratore e libertà di iniziativa economica del soggetto datore – e trova attuazione nella disciplina dettata dall'art. 2110 cod. civ, come interpretato dalla giurisprudenza. Il profilo d’interesse è che esso deve essere posto in relazione all’altro principio giurisprudenziale secondo il quale il riconoscimento della malattia professionale non comporta automaticamente anche il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c.(Cass. 10404/2020, 3366/2017, 21203/10). La sussistenza della causa professionale e l’occasione di lavoro costituiscono, infatti, parametri per l’operatività dell’assicurazione, e legano l’evento protetto (malattia/infortunio) al lavoro (nel senso che individuano una relazione causale od occasionale), ma non anche una relazione con la responsabilità per quegli stessi eventi del datore di lavoro. La giurisprudenza ha infatti puntualmente rilevato che “affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ” (Cass., 7247/2022, 2527/2020, 26498/2018, 15972/2017, 26307/2014, 22248/2004, 5413/2003). La conseguenza è, dunque, che i periodi di assenza legati a malattie ed infortuni riconosciuti dall’Inail vanno computati nel periodo di comporto a meno che su quei fatti non sia provata la responsabilità del datore di lavoro per violazione dei principi contenuti nell’art. 2087 cod. civ. Questo perché, solo in questo caso, “l'impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata” (Cass. 7037/2011). E tale prova non può che avvenire in sede giudiziale. Per cui, in mancanza di una sentenza passata in giudicato che affermi la responsabilità del datore di lavoro, l’assenza per malattia professionale o infortunio sul lavoro va sempre computata nel periodo di comporto. In conclusione, la portata generale del principio contenuto nell’art. 2110 cod. civ., quale contemperamento dei diritti costituzionali di tutela della salute e diritto alla conservazione del posto di lavoro, da un lato, e libertà di iniziativa economica, dall’altro, viene quindi confermata e ad essa fa eccezione la prova (giudiziale) della responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell’evento protetto (malattia professionale o infortunio sul lavoro). Per informazioni: Dott. Emanuele Ciaccia (ciaccia@confindustria.aq.it – Tel. 0862.312769).
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